mercoledì 25 dicembre 2019

Buon Natale

“Una graziosa leggenda narra che, alla nascita di Gesù, i pastori accorrevano alla grotta con vari doni. Ciascuno portava quel che aveva, chi i frutti del proprio lavoro, chi qualcosa di prezioso. Ma, mentre tutti si prodigavano con generosità, c’era un pastore che non aveva nulla. Era poverissimo, non aveva niente da offrire. Mentre tutti gareggiavano nel presentare i loro doni, se ne stava in disparte, con vergogna. A un certo punto San Giuseppe e la Madonna si trovarono in difficoltà a ricevere tutti i doni, soprattutto Maria, che doveva reggere il Bambino. Allora, vedendo quel pastore con le mani vuote, gli chiese di avvicinarsi. E gli mise tra le mani Gesù. Quel pastore, accogliendolo, si rese conto di aver ricevuto quanto non meritava, di avere tra le mani il dono più grande della storia Guardò le sue mani, quelle mani che gli parevano sempre vuote: erano diventate la culla di Dio. Si sentì amato e, superando la vergogna, cominciò a mostrare agli altri Gesù, perché non poteva tenere per sé il dono dei doni” (raccontata da Papa Francesco, nella Basilica Vaticana, durante l’omelia della Notte di Natale 2019).

sabato 2 novembre 2019

75190 non è e non sarà mai solo un numero

Mi è sempre piaciuto conoscere l'etimologia delle parole e in questi giorni mi sono soffermata su due parole: disprezzo ed esperienza.
La prima, particolarmente in voga ultimamente, deriva, ovviamente, dal latino "dispretiare", dove pretium significa "prezzo" e il prefisso "dis-" codifica l'allontanamento, il distacco, la rimozione. Quindi il disprezzo è l'assenza di prezzo, di valore. Interessante, ma la seconda parola lo è ancora di più. Esperienza deriva sempre dal latino "experientia", "experiri"  che significa sperimentare. Se volessimo essere ancora più precisi, si compone della preposizione "ex" che indica "fuori di, da" e "periri" "andare". Quindi l'esperienza ci porta ad andare fuori dalla nostra, come si usa dire, comfort zone per sperimentare qualcosa che non conosciamo. Se volessimo andare un po' oltre la parola "periri" evoca la parola "perire". Infatti questa fuoriuscita da sé per andare incontro ad altro si porta dietro un lasciare qualcosa, l'abbandono di sicurezze per incontrare qualcosa che è incognita e di cui, solo successivamente, facciamo esperienza.
Mi si è aperto un mondo. Sicuramente ultimamente utilizziamo molto più la prima che la seconda. Disprezzare è qualcosa che non costa fatica, non ha un prezzo. Non prevede un dinamismo cognitivo. Basta prendere posizione contro qualcosa o qualcuno senza però comprendendolo, non facendone esperienza per cercare di capirlo. È un agire sociale a costo zero a cui si aderisce, il più delle volte, senza averne contezza. Pensando al mio quotidiano potrei fare mille esempi che mi coinvolgono anche in prima persona. Ma se volessimo fare i generici pensiamo solo alla mozione parlamentare della Senatrice a vita Liliana Segre.
L'esperienza, invece, non ha un costo zero. Anzi. Richiede coinvolgimento, studio, spostamenti, dialogo, ascolto, andando anche contro alle proprie convinzioni per, magari, cambiarle o modificarle. Quanto dispendio di energie.Sicuramente un'azione che non può essere fatta con un post o un like lanciato dal proprio divano di casa. Perché l'esperienza prevede un dinamismo cognitivo che solo la rete non può dare; perché la rete è tutto, ma non è esperienza come l'abbiamo descritta.
Solo l'esperienza quindi ti permette di disprezzare con cognizione di causa e soprattutto avendone contezza. Il disprezzo senza esperienza ha una presa emozionale e un'adesione immediata, ma non dura. Infatti l'esperienza non ti porta al disprezzo tout court, ma a sperimentare politiche, organizzazioni, condivisioni, per far sì che emerga il valore delle tesi che tu sostieni.
Per ritornare alla questione della mozione parlamentare della Senatrice Segre, chi più di lei può darci testimonianza e ci possa raccontare cosa significhi fare esperienza del razzismo e dell'antisemitismo?
Nessuno. Chi sostiene il contrario, con diverse forme di comunicazione, avvalorando il proprio disprezzo, vuol dire che non ha fatto esperienza del significato di essere perseguitati a causa della propria razza; o meglio, ha preso posizione senza essersi messo in gioco in prima persona, senza pensare che la stessa cosa potrebbe capitare a tutti, nessuno escluso.

giovedì 10 ottobre 2019

Reportage in Yemen di Francesca Mannocchi



"La normalità della guerra e l'automatismo della reazione: racconto un razzo che colpisce casa mia e poi ti dico che voglio diventare il pilota del prossimo aereo che lancerà i medesimi razzi".
Dal minuto 1:38:13 in poi le immagini sono piuttosto dure.
"Le nostre bombe prodotte nel nostro paese hanno combattuto quella guerra lì, una guerra, e lo dicono le Nazioni Unite nemmeno un mese fa, ha macchiato di crimini di guerra le due parti in causa contro i civili; è una guerra contro i civili, più che una guerra contro due nemici".
"Ti dò un attimo questa immagine, secondo me molto caratteristica della guerra. Non vi dovete immaginare la scena hollywoodiana di un paese completamente distrutto. C'erano due strutture che erano distrutte: l'ospedale e la scuola [...] Se un ospedale è distrutto, e ve lo potete immaginare, non si potrà ricevere alcuna cura, se una scuola è distrutta non ci sarà più alcun futuro. E quando mi sono trovato un bambino di 15 anni, dell'età di mio figlia, dirmi io sai Roby vorrei fare il medico come te, ma dovrò andare al fronte. [...] Vedeva la sua unica speranza nell'andare al fronte a combattere. Allora questi bambini che oggi non hanno più un'istruzione [...] sono quei bambini che dovrebbero poi ricostruire il paese nei prossimi anni".

lunedì 8 luglio 2019

Padre di tutti gli uomini per te nessuno è straniero


Anche se scrivere è ossigeno per i miei pensieri, alcune volte vivo la sensazione di non riuscire ad esprimere con le parole le innumerevoli emozioni che stanziano nei miei pensieri. Come in questo momento: le parole mi sembrano sempre inadeguate, scontate, inadatte, vuote. Per la seconda volta ho avuto la possibilità (quelle occasioni che non scegli, ma che capitano) di vivere cantando una Messa in San Pietro. Anche questa volta i protagonisti sono stati i migranti, ma in una dimensione più intima (la Messa è stata celebrata all’Altare della Cattedra), raccolta, quasi familiare se non fosse per il luogo e la presenza del Santo Padre.
Animare con il canto una celebrazione eucaristica è uno dei tanti servizi che si possono svolgere all’interno della Chiesa. Puoi svolgerlo in una chiesa in periferia o a San Pietro, la tua voce è sempre la stessa, il tuo essere è sempre lo stesso. Al centro c’è solo il servizio che fai per i fratelli e per la Chiesa. Punto. Tutto il resto è superfluo, contorno, cornice, ma non è essenza. L’essenza è l’impegno che ci metti per far sì che quel brano, quel pezzo possa essere veicolo, mezzo, strumento di quella carezza di grazia che arriva da Lui e da nessun altro e di cui, soprattutto oggi, il mondo ha tanto bisogno. Ne ha bisogno l’uomo, ne ha bisogno l’umanità tutta, nessuno escluso. Ne ha bisogno anche chi non ne sente il bisogno.
Stiamo vivendo un periodo storico in cui si stanno rompendo delle fibre elastiche che in precedenza resistevano agli strappi. Ora provocano smagliature che solo l’olio della speranza, dell’amore, della compassione e della fraternità può risanare. Non c’è bisogno di altri condimenti per rendere tutto più appetitoso, come fanno i mezzi di comunicazione per raccontare un avvenimento. Caso vuole che molte testate giornalistiche abbiamo riportato che il coro fosse vestito in nero in segno di lutto per i migranti. Quella è semplicemente la maglietta che indossiamo sempre quando cantiamo.
La bellezza e la verità non hanno bisogno di enfasi. Basta avere il coraggio di guardarle negli occhi per comprenderle. È la stessa cosa che ho percepito guardando negli occhi il Santo Padre, mentre la mia mano era stretta alla sua. Come diceva Andrea Camilleri "Le parole che dicono la verità hanno una vibrazione diversa da tutte le altre".

venerdì 21 giugno 2019

Le sane priorità della vita da trasmettere alle nuove generazioni

Compiti delle Vacanze
1. Riposatevi e divertitevi.
2. Coltivate amicizie anche nuove.
3. Se potete viaggiare, fatelo.
4. Ascoltate musica, guardate film, leggete libri e parlatene con gli amici.
5. Tenete un diario.
6. Pulite un tratto di spiaggia, di prato o di bosco. Nei casi disperati cominciate pure da camera vostra.
7. Dimenticate spesso il cellulare da qualche parte. Nei casi disperati dimenticatelo una volta sola nel secchiello del ghiaccio, con molto ghiaccio.
Detti compiti non saranno valutati. Saranno loro a valutare voi.

venerdì 14 giugno 2019

L'attenzione: un accessorio da indossare

L'attenzione è qualcosa che dovremmo tenere sempre in borsa o in tasca.
L'attenzione verso un senza tetto alle 6:30 di mattina dopo la corsa 5:30.
Le ciliegie le posso lasciare sopra quella coperta che ripara dal freddo marmo sotto i portici di Via Roma. Tanto io andrò a casa e posso fare una sontuosa colazione.
Sicuramente è stato il pensiero di quella persona che ha fatto questo piccolo gesto di altruismo, che ha avuto questa preziosa attenzione.
L'attenzione verso un non vedente che, in metropolitana, non riesce a trovare l'accesso alle scale.
Posso prendere anche la metro successiva. "Signora, ha bisogno? L'aiuto a scendere?". Il pensiero e l'azione di una giovane sui 25 anni che accompagna una signora sulla cinquantina sino alla banchina e, non sazie di quell'incontro, proseguono la conversazione sul treno.
E anche le attenzioni che dono e ricevo.
Il giorno dopo, forse alzando la mia soglia di attenzione dopo aver visto l'azione della ragazza sui 25 anni, vedo in metropolitana una signora in carrozzina a cui non funziona il badge per aprire le porte dell'accesso riservato ai disabili. Mi accorgo della difficoltà. Le chiedo: "Ha bisogno?" La prima risposta che ho ricevuto è stato un sorriso. "Sì, grazie". Passo di nuovo il badge e le porte si aprono. Le restituisco il tesserino e ci auguriamo buona giornata. Riempie il cuore donarsi e di questo amore non si è mai sazi.
Stasera, avviandomi a casa, prima di entrare, mi sento chiamare "Erika"! Era il ragazzo dell'autolavaggio di fronte a casa mia che ogni mattina mi saluta. Mi avvicino, lui corre dentro il garage e ritorna con una busta dalla quale spunta una carta regalo. Mi aveva anticipato che aspettava dal Marocco un quadro che avrebbe voluto regalarmi per il mio compleanno. Con quegli occhi che dicono tutto e quel sorriso che solo le persone che assaporano ogni respiro di vita ti sanno trasmettere, mi consegna la busta, chiedendomi scusa perché il regalo è arrivato in ritardo. Riempiono sempre il cuore le attenzioni che ricevi e questo è un amore che è bello accogliere.

venerdì 17 maggio 2019

6° Appuntamento internazionale dei Giovani della Pace



Cari amici

non dimenticherò la giornata dell’11 maggio, il 6° Appuntamento internazionale dei Giovani della Pace. Una città, una piazza, migliaia di giovani da tutta Italia e delegazioni da altri Paesi del mondo. Tutti insieme per dire con la vita: “Basta guerre! Facciamo la pace!”. Bergamo ha accolto i nostri sogni, le nostre speranze e attese, ma anche i nostri impegni di bene che già esistono.

Per tutti noi, l’11 maggio è stata una giornata indimenticabile, nonostante fatiche e sofferenze. Anche le previsioni meteo ci hanno dato qualche pensiero. Erano annunciati temporali e pioggia forte, ma il tempo ci è venuto incontro: la tempesta ha aspettato che l’incontro finisse. Dal cuore, il grazie anche per questa carezza.

Il resto è un’emozione senza fine. Mi ha commosso il vostro ascolto, la vostra condivisione. Avete accolto con delicatezza testimonianze fortissime: la storia di un uomo di 80 anni che ha raccontato la tragedia della sua vita, la morte della mamma incinta di 9 mesi e della nonna a Marzabotto. Poi, la quotidianità della guerra, raccontata da padre Ibrahim, parroco di Aleppo. E infine, la speranza di Jeanette, sopravvissuta al genocidio del Ruanda che l'ha allontanata dalla famiglia naturale per molti anni.

Storie di vita che hanno rafforzato il nostro impegno a far nascere e crescere nel cuore e nella carne tanti semi di pace. È il messaggio che ho voluto affidarvi in piazza e che confermo anche con questa lettera. Continuiamo insieme ad essere indomabili, a testimoniare che è possibile rispondere al male con il bene. Sempre e ovunque.

Ringrazio insieme a voi in modo particolare il nostro Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. La sua amicizia ci accompagna e ci sostiene. Anche questa volta ha voluto essere presente a un nostro incontro con un videomessaggio indimenticabile. Con lui, voglio dire grazie al Sindaco e al Vescovo di Bergamo, al Presidente della Provincia e agli enti locali che ci hanno accolto e aiutato; grazie anche a tutte le persone che hanno reso possibile questa giornata, a chi ha restituito tempo, risorse, capacità. Un movimento di bene e di gratuità che si alimenta grazie al contributo di tutti.

Cari amici, Bergamo non è stato l'evento di una giornata, ma la nuova tappa di un cammino di speranza iniziato tanti anni fa. Sentiamoci tutti protagonisti di questa storia con la responsabilità delle nostre scelte. Il mondo imparerà a fare la pace anche guardando all’esempio di ognuno e di tutti noi.

Vi voglio bene! E questo bene è per sempre.

Ernesto Olivero

giovedì 25 aprile 2019

L'importanza del 25 aprile - LA LIBERTÀ NON È UN REGALO


Ciao Ciccio, sono il nonno. Spero che tu stia molto bene. Un altro anno è passato e grazie per non avermi dimenticato. Grazie per il tempo che ti sei preso per ricordarti di me anche oggi dopo tutti questi anni. Non posso credere che tu sia già così grande. Vorrei essere lì per vedere come sei cresciuto e che genere di uomo sei diventato. Ma so già che sarei molto fiero di te.
Questa è la mia ultima cassetta. Mi piacerebbe continuare, ma di cose ce ne siamo già dette tante e io sono stanco, molto stanco.
Solo ricordati che questo Paese è quello per cui io e altri abbiamo combattuto. NON È STATO UN REGALO. Non dimenticarlo mai. Se arriveranno a minacciare la tua libertà e quella dei più deboli - perché quelli partono sempre dai più deboli - scendi in piazza, agitati, scrivi, opponiti e coinvolgi  più persone possibile. Se ti diranno che è normale odiare una persona, che è giusto sottomettere le donne, useranno parole me "prima noi degli altri", tu promettimi che non renderai mai vano quello per cui abbiamo combattuto da giovani.

lunedì 22 aprile 2019

Argentina 2018 - Le cascate di Iguazu lato argentino e brasiliano - Ruta gesuitica

Eccoci all'ultimo post del mio viaggio ... ormai dell’anno scorso. Un'altra estate si avvicina con un’altra meta, ma l’Argentina, e il Sud America in generale, ormai è nel mio cuore.
Sempre con il coche cama abbiamo raggiunto Puerto Iguazú, una cittadina che, con la sua posizione strategica per raggiungere le famose Cataratas, accoglie i turisti per la visita di una delle Sette meraviglie del mondo naturale. Inoltre ospita Las Tres Fontanas, unico posto al mondo dove si possono vedere tre Stati e tre confini (Argentina, Brasile, Paraguay) in un solo colpo d'occhio.
Merita un plauso anche l'hotel che abbiamo scelto e consigliamo caldamente: "125 Hotel". Situato in una buona posizione vicino al Terminal di Puerto Iguazú, quindi comodo sia per i pullman che conducano alle cascate e sia per partire verso altre destinazioni, offre anche la possibilità di cenare in un ottimo ristorante. Silvio, di origine italiana, con tutto il team è stato disponibile ad ogni nostra richiesta: l'ultimo giorno, nonostante il check out della mattina, ci ha concesso una doccia alla sera, dandoci anche tutti i confort (asciugamani, shampoo, bagnoschiuma) prima di partire per San Ignacio.
Per visitare bene tutti i parchi con assoluta calma ci vogliono almeno 3 giorni.
Noi siamo partite dal lato brasiliano. Abbiamo raggiunto, tramite una navetta, Foz do Iguaçu e l'entrata al parco (http://cataratasdoiguacu.com.br/). La visita sul versante brasiliano prevede una camminata dalla quale si possono ammirare le cascate presenti sul lato argentino. Per noi c'è stato anche il primo incontro con i coati. Consiglio: non mangiate in loro presenza. È una passeggiata che ha il suo culmine sulla passerella finale dalla quale è facile ammirare arcobaleni e la gola d'acqua che porta alla Garganta del Diablo, il punto di massima attrazione per i turisti



La visita sul lato argentino, invece, è più varia e certamente di maggior fascino (https://iguazuargentina.com/). La camminata tra le cascate prevede due percorsi: percorso superiore e percorso inferiore. Sono entrambi molto affascinanti e ti fanno vedere le cascate da prospettive diverse. Da non perdere: il safari e ovviamente andare sotto una garganta (ovviamente non del Diablo) con i gommoni. Il culmine però lo si raggiunge sulla passerella che conduce alla Garganta del Diablo: uno spettacolo che fa capire quanto l'uomo sia piccolo di fronte alla potenza della natura.
Un consiglio che vi posso dare: visitate il Parque Nacional Iguazú in due giorni. L'ingresso per il secondo giorno prevede una scontistica. Ricordatevi però di tenere il biglietto del giorno precedente o una foto di voi con le cascate sul cellulare che documenti la vostra visita altrimenti vi fanno storie e tentano di farvi pagare la tariffa piena.



Ultima tappa del nostro viaggio è stata San Ignacio e la Ruta gesuitica. Giornata molto affascinante. Misión Jesuítica Guaraní de La Santísima Trinidad del Paraná è veramente incantevole. Per visitarla siamo sconfinate in Paraguay e anche San Ignacio e tutta la parte museale meritano una sosta.

sabato 20 aprile 2019

Il Sacro oltre e nella Fede

Sacro è il corpo di una prostituta appena picchiata dalle mani dell'uomo che l'ha pagata e considerata un oggetto.
Sacro è il dolore di un figlio per la malattia di un padre.
Sacra è la gioia per la nascita di una bambina marocchina dopo una gravidanza con molte complicazioni.
Sacro è il bene fatto bene.
Sacra è la bellezza del digiuno con il sorriso in volto.
Sacro è il ramadan.
Sacra è la ṣalāt e il hijab.
Sacro è il silenzio e la contemplazione.
Sacra è la Croce.
Sacro è quel Volto penetrato dal dolore.
Sacro è ogni volto penetrato dal dolore.
Sacro è il Credo e la Fede qualunque essa sia.
Sacra è la vita.
Sacro è il barcone in mezzo al Mediterraneo da salvare.
Sacro è quel corpo in fondo al Mediterraneo.
Sacro è un porto sicuro.
Sacro è il desiderio di partire per il Mozambico per portare aiuto e competenza.
Sacra è l'accoglienza.
Sacra è la lealtà e la condivisione.
Sacra è la gratitudine.
Sacra è l'infanzia del bambino sfruttato dalle cittadelle del benessere del mondo.
Sacro è prendersi cura.
Sacro è il nostro pianeta perché è la nostra Casa.
Sacra è una mano tesa in soccorso di chi è caduto.
Sacro è il colore della pelle.
Sacro è il rispetto.
Sacra è la cultura di ogni popolo.
Sacro è l'amore.
Sacra è l’amicizia.
Sacra è l'etica.
Sacra è una vita investita verso il bene comune.
Sacro è il perdono.
Sacro è rinascere dopo il carcere.
Sacro è il 25 aprile.

Il Sacro è nel nostro quotidiano. Ci sono cose che non possono essere violate o messe in discussione perché sono il fondamento della vita di ogni essere umano. Tutti vogliamo vivere in un mondo di pace. Ma il primo passo è sempre il mio. La prima testimonianza è sempre la mia. Incominciando da me capisco che ci sono tante persone (più di quante pensiamo) che vivono il Sacro nel loro quotidiano.

giovedì 4 aprile 2019

Per chi non ha Voce - Sermig

Oggi a mezzanotte esce in tutti i negozi digitali (iTunes, Apple Music, Spotify, Amazon, Play store...) Per chi non ha voce, nuovo singolo del Laboratorio del Suono. Scelto dal Sermig, sarà l’inno dell'Appuntamento dei Giovani della Pace di Bergamo dell'11 maggio 2019 per dire insieme: Basta Guerre! Una sola voce, unita contro tutte le guerre che affliggono il nostro mondo, per dare voce a chi oggi non ce l’ha.
ISCRIVITI al sesto Appuntamento dei Giovani della Pace

Ascolta il brano

domenica 3 marzo 2019

Argentina 2018 - Salta la linda e Clorinda e il barrio

Salta la linda! Facilmente raggiungibile da Buenos Aires in aereo o con i famosi coche cama. Noi abbiamo preferito, esclusivamente per ottimizzare i tempi del viaggio, l'aereo. Abbiamo volato da Buenos Aires su Salta con la compagnia Andes https://www.andesonline.com/. Per visitare solo la città di Salta ci siamo affidate a un'agenzia in loco, non mi ricordo il nome ma è a due passi dalla Iglesia San Francisco. Tra l'altro c'è anche un tour con un autobus scoperto che parte direttamente dalla piazza centrale di Salta,  Plaza 9 de Julio. Gli orari sono un po' limitanti, ma si può tranquillamente programmare la giornata adeguandosi alla partenza. Abbiamo fatto un tour in autobus: un percorso tra le vie del centro tra le bellezze coloniali, per poi giungere al Cerro San Bernardo. Lì arriva l'ovovia che parte a due passi dal centro di Salta e si può ammirare un bellissimo panorama della città.
Per quanto riguarda i musei imperdibile il Museo de Alta Montaña (http://www.maam.gob.ar/).
Il Museo di Alta Montagna (MAAM) nasce dalla volontà di divulgare i risultati svolti sui "Bambini di Llullaillaco", una delle più importanti scoperte archeologiche degli ultimi decenni. Tre bambini sono stati trovati nel marzo 1999, conservati dal freddo, nei pressi del vulcano Llullaillaco a 6700 metri sul livello del mare. Oltre ai bambini, sono stati trovati un centinaio di oggetti che componevano il loro corredo funerario che li avrebbe dovuti accompagnare nel loro viaggio verso l'aldilà. Le indagini condotte hanno rilevato che le mummie risalgono a 500 anni fa, durante l'era Inca, poco prima dell'arrivo degli spagnoli. Il Museo presenta in modo didattico, e allo stesso tempo da una prospettiva scientifica, questa scoperta che permette di vedere e comprendere una cultura che ancora oggi rimane viva in gran parte dell'America andina.
Imperdibile una cena e una sosta alla sera nella piazza centrale Plaza 9 de Julio. Atmosfera deliziosa.



Gustata Salta siamo partite con il coche cama alla volta di Clorinda, nel centro nord dell'Argentina. Direzione una missione sostenuta con l'iniziativa "Sulla rotta per Ihanga" (http://www.sullarotta.org/).
Indicazione logistica: un sito molto ben fatto per la prenotazione dei coche cama è https://www.centraldepasajes.com.ar. Qui è possibile confrontare orari e le compagnie che percorrono le varie tratte in tutto il Paese. E' possibile comprare i biglietti direttamente ai terminal o, se si hanno le idee chiare, online già dall'Italia. Noi abbiamo scelto la seconda opzione. In ogni caso armatevi di pazienza: non sono mai puntuali.
Ma torniamo a Clorinda. l Barrio ACA e San Roque sono due baraccopoli sorte nella periferia di Clorinda, una città nel nord dell’Argentina al confine con il Paraguay, nella quale vi è un forte traffico di contrabbando. Sosteniamo suor Maggiolina e suor Julia nell'educare bambini e adolescenti di strada alla legalità, in modo che possano sentirsi persone rispettose di se stesse e incoraggiate ad aiutare gli altri.
Le famiglie sono molto numerose – la media dei figli per coppia è molto alta, fattore determinato anche dalle agevolazioni provenienti dallo Stato per chi ha sette figli - e, le più fortunate, vivono in una struttura in muratura composta da una stanza di pochi metri quadrati; la maggior parte delle case, invece, soprattutto nel barrio ACA, sono fatte di lamiere e teli di nylon. Le suore svolgono una duplice funzione: svolgono attività di catechismo con i bambini e sostengono le famiglie con viveri di prima necessità, come il latte. Grazie alla raccolta 2017 e alla collaborazione della gente del barrio, sono state costruite due sale funzionali sia per il catechismo e sia per la Messa domenicale. Nel barrio ACA il salone è dedicato al Divino Niño e, nei pressi della struttura, il Comune ha anche installato una cisterna d’acqua dove la popolazione può attingere per le necessità quotidiane della famiglia. Nel barrio San Roque, invece, la sala è arricchita dalla presenza di una piccola cucina per organizzare piccole feste per la comunità.

domenica 3 febbraio 2019

Argentina 2018 - Quebrada de las Conchas, Tren a las Nubes, Quebrada de Humahuaca

Prima di lasciare Cafayate merita vedere un tramonto da Los Médanos: genera pace lasciarsi cadere a peso morto tra la sabbia; è un’esperienza appagante e rigenerante. Da Cafayate a Salta, passando per la Quebrada de las Conchas (Ruta 68), i colori, invece, sono l’elemento centrale nel paesaggio. La vista de la desde Tres Cruces lascia senza fiato. Il paesaggio è lussureggiante e lo sguardo si perde tra il verde, il rossiccio e l’azzurro del cielo. L’Anfiteatro e la Garganta del Diablo ti conducono, invece, all’interno del mistero dell’elemento naturale acqua: curve sinuose percorrono le pareti delle rocce e, immergendosi all’interno di questi templi naturali, sembra di danzare senza muoversi. A pranzo, verso le 15, eravamo a Salta e Jorge ci ha fatto provare un ristorante spaziale. La Cantina de Angelino. Una sola raccomandazione: non mettetevi grosse cose da fare per il pomeriggio; per la quantità di cibo che si mangia la sonnolenza è garantita. Un giro per Salta, senza pretese, per smaltire le calorie ingerite è altamente consigliato.
Il giorno successivo il protagonista assoluto è stato il Tren a las Nubes. Vi consiglio di prenotarlo direttamente in Italia dal sito ufficiale http://trenalasnubes.com.ar/. Ci sono due tariffe in base alle esigenze: una comprende il bus da Salta sino a San Antonio de los Combres e ritorno con treno incluso e l'altra solo con il treno. Noi, avendo la nostra guida andina, abbiamo scelto la seconda.


L'esperienza va vissuta, attraverso la spiegazione delle guide, nel suo complesso, anche se, bisogna ammetterlo, il culmine si ha con il passaggio sul viadotto a 4200 metri sopra il livello del mare. Una volta passato il ponte, i turisti vengono fatti scendere dal treno e, in quei minuti di ristoro, tra una bancarella e una empanadas, gli argentini issano la bandiera, cantando l'inno nazionale. Un momento toccante. Andando verso Purmamarca, altra tappa interessante sono la Salinas Grandes. Una distesa di sale a perdita d'occhio. Uno spettacolo unico il contrasto con il cielo turchese che ci ha accompagnato per tutta la giornata. Tra sali e scendi siamo arrivati a Purmamarca e alla visita al tramonto del Cerro de siete colores.
Con la luce del giorno, i colori del Cerro de siete colores cambiano, sono più brillanti. Ce lo lasciamo alle spalle e ci addentriamo nella Quebrada de Humahuaca e anche qui i colori sono i protagonisti. Percorriamo la Ruta 9 che fa parte della Panamericana. Prima sosta: rovine precolombiane in Tilcara, passando per il villaggio di Maimara per ammirare la paleta del pintor, una sezione di montagna che assomiglia alla tavolozza del pittore. Passando Huacalerasi sfioriamo il Tropico del Capricorno. Hornocal (cerro de 14 colores) è un'emozione pazzesca. Siamo a quota 4300 metri. Il mirador è stato nominato Patrimonio dell'Umanità e qui la natura è suprema e superba: una montagna di formazione calcarea che racchiude i colori dell'arcobaleno. Pranzo a Humahuaca (dove ho assaggiato la carne di lama: buonissima) e visita al Monumento a los Héroes de la Independencia. Poi direzione Salta che merita un altro post.

domenica 27 gennaio 2019

Argentina 2018 - Da Cachi a Cafayate passando per la Quebrada De Las Flechas

Intorno alle 9 del mattino, accompagnati da un sottofondo di musica andina, partiamo. Destinazione finale Cafayate e i suoi vigneti. La Ruta 40 è una strada affascinante sia da un punto di vista naturalistico, sia per gli spunti sociali che regala. Primo fra tutti il Camino de los Artesanos lungo il quale s'incontrano botteghe gestite da famiglie che si dedicano alla lavorazione dei tessuti e del legno, soprattutto quello ricavato dai cardones. Il legno di cactus, infatti, è utilizzato come elemento da costruzione e decorativo. Proseguendo si va incontro a un paesaggio desolato: passano chilometri in cui si è solo circondati da vegetazione e da qualche paesino sperduto costituito da una piazza e una chiesa. Uno di questi è Angastago dove ricordo Karina. Entrati nel suo bar, annesso alla stazione di benzina, abbiamo chiesto un caffè. Ci aspettavamo la sola bevanda solubile e invece, con sommo stupore, dal retrobottega spunta una caffettiera e delle tazzine. Karina ci spiega che quando giungono qui italiani attinge alla riserva di caffè che una sua amica, Simonetta, le fa arrivare dall’Italia. Mentre gustiamo questo aroma di casa lei ci racconta delle meraviglie della nostra bella Italia. È sempre emozionante sentire parlare del proprio Paese da una persona di un’altra nazione. Ti rendi conto di come possano cambiare le prospettive.



Lasciata Angastago, ci dirigiamo verso Cafayate. Ma prima di arrivare c'è la bellezza che ci attende e si apre lungo la strada: la Quebrada De Las Flechas. Sicuramente è un posto che mi ha segnata. Montagne oblique che s'innalzano dal suolo. Frecce rivolte verso l'alto. Paesaggio arido, ma ricco del creato, perché modellato da millenni di fenomeni atmosferici. Un paesaggio che ti rende la presenza di Dio tangibile; capisci che dietro quella bellezza che ti riempie gli occhi c'è altro, c'è un Altro: i tuoi sensi percepiscono che c'è un disegno, una presenza, una mano non di uomo. Passata questa meraviglia si apre un paesaggio composto da vigneti. La vite del territorio di Cafayate è totalmente diversa dalla nostra; i filari, però, fanno respirare un po' l'aria delle nostre colline. Abbiamo visitato l'azienda vinicola Piattelli che, oltre a produrre vino, si dedica anche a prodotti per la cura del corpo: profumi e creme all'aroma di vino sono esposti nella hall a prezzi abbastanza accessibili.
Cafayate è una cittadina deliziosa: la piazza centrale è piena di negozietti e c'è un mercatino dell'artigianato che vale la pena visitare. Per la sera merita andare in uno dei locali sempre sulla piazza dove si può ascoltare musica dal vivo. Consiglio il birrificio La Cervecería "La Cafayateña".

lunedì 14 gennaio 2019

Pope Francis Holy Mass on World Day of Migrants and Refugees


Un anno fa come oggi
Se sarete miti verso tutti, beati voi:
erediterete tutto il mondo.
Quando avrete fame di giustizia, beati voi,
perché un giorno Io vi sazierò.

Il Papa dopo l'Angelus del 20 gennaio 2019
Penso alle 170 vittime, naufraghi nel Mediterraneo. Cercavano un futuro per la loro vita. Vittime, forse, di trafficanti di esseri umani. Preghiamo per loro e per coloro che hanno la responsabilità di quello che è successo.

sabato 12 gennaio 2019

Il bene non può che generare bene anche nel mare e nel male

Dzibi, Alfredo e Hashim. Tre nomi, tre nazionalità, tre storie, un minimo comune multiplo che li unisce: il mare. Dzibi proveniente dalla Guinea-Bissau, Alfredo albanese, Hashim afgano.

Uno dei ricordi che associo ad Alfredo è quando, diciottenne e alla fine degli anni novanta, ha recuperato, per una famiglia, una banana galleggiante, ormai alla deriva in balia del mare agitato, all'arco di San Leone, provincia di Agrigento, a due passi da Porto Empedocle, località che divenne famosa pochi anni dopo per gli sbarchi dei migranti. Pochi anni prima, però, sempre nel Mare nostrum (così tanto per ricordare la nostra storia), Alfredo aveva affrontato la sua attraversata della vita dalle coste albanesi, sino alla costa adriatica, per poi arrivare a Roma. Qui Alfredo ha avuto la possibilità di mettersi in gioco e, con forza di volontà ed entusiasmo, ha avviato un'impresa che oggi dà lavoro a una decina di persone. Sposato con una romana e con due figli è stimato da tutti per la sua professionalità, per il suo essere e per la sua generosità, non solo in Italia, ma anche all'estero. Non è una storia che ho letto sui giornali: Alfredo mi conosce da quando avevo dodici anni, ho assistito al battesimo del suo primogenito e non dimenticherò mai le sue parole durante una cena, rivolte soprattutto ai miei genitori e a mio zio: "Grazie perché è anche grazie a voi che sono l'Alfredo di oggi".

Ed eccoci a Dzibi. Dzibi ha degli occhi e un sorriso contagiosi eppure, quando sono venuta in contatto con la sua storia, le lacrime sono scese copiosamente sul mio viso. Dzibi, dopo il suo arrivo in Italia, è stato accolto da una famiglia che vive in Via Don Luigi Sgargetta a Cimetta, provincia di Treviso. La vita, alcune volte, ti parla: una via dedicata a un missionario che ha investito parte della sua vita per il bene dell'Africa, accoglie un ragazzo africano che scappa dalle atrocità della guerra. Dzibi si è integrato bene in Veneto. Ora vive da solo e ha un lavoro. I genitori di Dzibi sono stati uccisi nel periodo in cui sul territorio imperversava una guerra civile. Viste le condizioni socio politiche, ha lasciato il suo paese e ha intrapreso il viaggio della speranza vero l'Europa. Lui ammette di essere stato fortunato perché, oltre ad essere sopravvissuto, è stato anche accolto e avvolto dall'affetto di una nuova famiglia. Ma questo non è bastato per fargli trovare la pace. Sapeva perfettamente che, per trovare la vera pace, doveva ritornare nella sua terra e riprendere in mano la sua storia. Ritornato in Guinea-Bissau è riuscito a risalire agli assassini dei suoi genitori. Ha voluto guardarli negli occhi, immagino, così profondamente tanto da sentirsi dire: "Tu sei venuto qui per ucciderci, vero?" e Dzibi, con il suo sorriso e la sua semplicità ha risposto: "No, sono qui per capire". Solo così Dzibi ha trovato pace e ora può donare la sua storia e la sua testimonianza come esempio di perdono e riconciliazione.

Hashim il due gennaio di quest'anno suona il campanello del Sermig (Torino). Ha con sé una valigia nera e non parla italiano. All'accoglienza c'è il delirio: gruppi che arrivano, persone che passano a ritirare gli indumenti mensili che l'Arsenale mette loro a disposizione. Io mi trovo lì per caso: sto aspettando dei miei amici. Mi attirano subito i suoi occhi scuri: non ha bisogno di parlare per capire le atroci sofferenze che ha passato. Con il mio inglese stentato mi avvicino a lui e cerco di capire la sua storia. E' in Italia da più o meno 20 giorni e per tutto questo tempo ha dormito a Porta Susa. La Questura, però, gli ha detto che non poteva più stare lì e gli hanno consigliato di rivolgersi al Sermig. Non mangiava da due giorni e sperava in una sistemazione un po' meno precaria. Purtroppo il dormitorio maschile era pieno e le iscrizioni potevano essere fatte solo l'indomani alle 10. Mi ha fatto capire che l'emergenza più grande per lui in quel momento era mangiare. Con la collaborazione del Sermig l'ho accompagnato alla mensa del Cottolengo spiegandogli dove l'indomani avrebbe dovuto fare la coda per la prenotazione del dormitorio. Spero tanto che Hashim sia riuscito ad accedere al dormitorio e ora sia riscaldato non solo da una coperta e da un pasto caldo, ma da un'umanità che accoglie. Il suo grazie, quando ci siamo salutati, è stato un raggio di sole che ha colpito il mio cuore e la mia anima.

In questo periodo si sente spesso dire che siamo circondati da parole che alimentano e parlano alla nostra pancia. Spero vivamente che ci siano sempre più parole che alimentino, colpiscano e parlino al nostro cuore e alla nostra anima. Solo così possiamo sentirci umani, oltre che burocrati, legislatori, politici, volontari, madri, padri, figli, lavoratori, studenti e qualsiasi categoria sociale vi venga in mente. Sicuramente facendo vibrare determinate emozioni, che passano dall'anima e dal cuore, decisioni delicate e importanti che riguardano tutti verranno prese con una consapevolezza maggiore per il bene di tutti. Perché il bene non può che generare bene.

Bisogna raccontare le storie, quelle che viviamo ogni giorno o che veniamo in qualche modo in contatto. Ideali e valori (e in questo la storia, quella con la S maiuscola, è un'ottima insegnante) devono essere incarnati in una vita e le parole devono veicolare il racconto di questa vita. Altrimenti le parole, le leggi, i numeri delle statistiche, anche le immagini e i video risultano sempre più contenitori vuoti o riempiti da emozioni che provengono, appunto, dalla pancia.

lunedì 7 gennaio 2019

Argentina 2018 - Parque Nacional Los Cardones, Puente del Diablo, Ruta 40

Quando ci s'immerge nel panorama andino è come fare un percorso anche all'interno di se stessi. I paesaggi cambiano in base all'altitudine, all'ora in cui si passa in un determinato luogo e alla luce che colora le rocce. Per chi possiede il dono della fede, ti avvicina un po' di più a Lui e alla bellezza del creato. I cinque giorni passati tra le varie quebrada del nord-ovest dell'Argentina sono stati ricchi di meraviglia e stupore e di un continuo "wow" che sgorgava dal cuore.
Ciliegina sulla torta, che ha reso il tutto ancora più interessante, è aver fatto il giro con Jorge, un ragazzo autoctono (la sua famiglia è totalmente argentina) della zona con un delizioso ristorante chiamato El Quincho a Purmamarca.
Ma andiamo con ordine.
Primo giorno: partendo dal delizioso albergo Antiguo Convento, situato nel centro di Salta vicino alla Iglesia San Francisco, ci siamo immersi nella Quebrada de Escoipe, il primo assaggio di colori e valli che aprono alla Cuesta del Obispo. Da qui s'incominciano a vedere i primi cactus, anche se la vera bellezza arriva scendendo e addentrandosi nel Parque Nacional Los Cardones. Cactus piccoli e grandi in una valle tagliata in due da una strada lunga e dritta che si perde all'orizzonte. Certamente la meraviglia è stata ancora più esaltante grazie al cielo terso che ha permesso un contrasto di colori tra l'azzurro. il verde e il rossiccio; difficili da descrivere a parole. Andando verso Cachi non si può fare a meno di fermarsi al Graneros Incaicos per poi proseguire verso il Puente del Diablo sulla Ruta 40 (Ruta 40 meriterebbe un discorso a parte). Un posto ideale per sostare e mettere i piedi a mollo in mezzo al silenzio, lasciandosi solo cullare dallo scorrere dell'acqua tra stalattiti.



Un episodio da ricordare di quella giornata: abbiamo bucato. Un altro imprevisto accolto che ci ha permesso di capire e apprezzare la bellezza delle persone locali. Come ci ha sempre detto Jorge, la parte più importante del viaggio sta nel modo in cui si assorbe la cultura. Scenario: zona non battuta dalle consuete rotte turistiche. Quindi intorno a noi solo natura. Rimaniamo lì avvolti dal silenzio e dal vento per almeno un'ora sino a quando riemerge dal Puente del Diablo Zaccaria, una guida che si occupa delle immersioni nelle grotte del territorio. Da come interloquivano sembrava che Zaccaria e Jorge si conoscessero; in realtà era la prima volta che s'incontravano. Zaccaria ha investito per noi almeno due ore della sua giornata. Smontata la ruota e caricata nel bagagliaio della macchina di Zaccaria, ci siamo recati al paese più vicino (a circa 10 km). Hanno cercato una persona che potesse riparare la ruota e poi Zaccaria ci ha riaccompagnati sul posto dove avevamo lasciato la macchina ed è rimasto lì, accertandosi che tutto fosse a posto e potessimo ripartire in direzione di Cachi; cittadina deliziosa. Arrivati al tramonto, primeggiava il bianco degli edifici che esaltava la bellezza della topologia di tutte le città andine: piazza rettangolare con giardino e chiesa annessa. Cena, doccia e riposo e poi nuovamente pronti per un altro giorno.