domenica 27 gennaio 2019

Argentina 2018 - Da Cachi a Cafayate passando per la Quebrada De Las Flechas

Intorno alle 9 del mattino, accompagnati da un sottofondo di musica andina, partiamo. Destinazione finale Cafayate e i suoi vigneti. La Ruta 40 è una strada affascinante sia da un punto di vista naturalistico, sia per gli spunti sociali che regala. Primo fra tutti il Camino de los Artesanos lungo il quale s'incontrano botteghe gestite da famiglie che si dedicano alla lavorazione dei tessuti e del legno, soprattutto quello ricavato dai cardones. Il legno di cactus, infatti, è utilizzato come elemento da costruzione e decorativo. Proseguendo si va incontro a un paesaggio desolato: passano chilometri in cui si è solo circondati da vegetazione e da qualche paesino sperduto costituito da una piazza e una chiesa. Uno di questi è Angastago dove ricordo Karina. Entrati nel suo bar, annesso alla stazione di benzina, abbiamo chiesto un caffè. Ci aspettavamo la sola bevanda solubile e invece, con sommo stupore, dal retrobottega spunta una caffettiera e delle tazzine. Karina ci spiega che quando giungono qui italiani attinge alla riserva di caffè che una sua amica, Simonetta, le fa arrivare dall’Italia. Mentre gustiamo questo aroma di casa lei ci racconta delle meraviglie della nostra bella Italia. È sempre emozionante sentire parlare del proprio Paese da una persona di un’altra nazione. Ti rendi conto di come possano cambiare le prospettive.



Lasciata Angastago, ci dirigiamo verso Cafayate. Ma prima di arrivare c'è la bellezza che ci attende e si apre lungo la strada: la Quebrada De Las Flechas. Sicuramente è un posto che mi ha segnata. Montagne oblique che s'innalzano dal suolo. Frecce rivolte verso l'alto. Paesaggio arido, ma ricco del creato, perché modellato da millenni di fenomeni atmosferici. Un paesaggio che ti rende la presenza di Dio tangibile; capisci che dietro quella bellezza che ti riempie gli occhi c'è altro, c'è un Altro: i tuoi sensi percepiscono che c'è un disegno, una presenza, una mano non di uomo. Passata questa meraviglia si apre un paesaggio composto da vigneti. La vite del territorio di Cafayate è totalmente diversa dalla nostra; i filari, però, fanno respirare un po' l'aria delle nostre colline. Abbiamo visitato l'azienda vinicola Piattelli che, oltre a produrre vino, si dedica anche a prodotti per la cura del corpo: profumi e creme all'aroma di vino sono esposti nella hall a prezzi abbastanza accessibili.
Cafayate è una cittadina deliziosa: la piazza centrale è piena di negozietti e c'è un mercatino dell'artigianato che vale la pena visitare. Per la sera merita andare in uno dei locali sempre sulla piazza dove si può ascoltare musica dal vivo. Consiglio il birrificio La Cervecería "La Cafayateña".

lunedì 14 gennaio 2019

Pope Francis Holy Mass on World Day of Migrants and Refugees


Un anno fa come oggi
Se sarete miti verso tutti, beati voi:
erediterete tutto il mondo.
Quando avrete fame di giustizia, beati voi,
perché un giorno Io vi sazierò.

Il Papa dopo l'Angelus del 20 gennaio 2019
Penso alle 170 vittime, naufraghi nel Mediterraneo. Cercavano un futuro per la loro vita. Vittime, forse, di trafficanti di esseri umani. Preghiamo per loro e per coloro che hanno la responsabilità di quello che è successo.

sabato 12 gennaio 2019

Il bene non può che generare bene anche nel mare e nel male

Dzibi, Alfredo e Hashim. Tre nomi, tre nazionalità, tre storie, un minimo comune multiplo che li unisce: il mare. Dzibi proveniente dalla Guinea-Bissau, Alfredo albanese, Hashim afgano.

Uno dei ricordi che associo ad Alfredo è quando, diciottenne e alla fine degli anni novanta, ha recuperato, per una famiglia, una banana galleggiante, ormai alla deriva in balia del mare agitato, all'arco di San Leone, provincia di Agrigento, a due passi da Porto Empedocle, località che divenne famosa pochi anni dopo per gli sbarchi dei migranti. Pochi anni prima, però, sempre nel Mare nostrum (così tanto per ricordare la nostra storia), Alfredo aveva affrontato la sua attraversata della vita dalle coste albanesi, sino alla costa adriatica, per poi arrivare a Roma. Qui Alfredo ha avuto la possibilità di mettersi in gioco e, con forza di volontà ed entusiasmo, ha avviato un'impresa che oggi dà lavoro a una decina di persone. Sposato con una romana e con due figli è stimato da tutti per la sua professionalità, per il suo essere e per la sua generosità, non solo in Italia, ma anche all'estero. Non è una storia che ho letto sui giornali: Alfredo mi conosce da quando avevo dodici anni, ho assistito al battesimo del suo primogenito e non dimenticherò mai le sue parole durante una cena, rivolte soprattutto ai miei genitori e a mio zio: "Grazie perché è anche grazie a voi che sono l'Alfredo di oggi".

Ed eccoci a Dzibi. Dzibi ha degli occhi e un sorriso contagiosi eppure, quando sono venuta in contatto con la sua storia, le lacrime sono scese copiosamente sul mio viso. Dzibi, dopo il suo arrivo in Italia, è stato accolto da una famiglia che vive in Via Don Luigi Sgargetta a Cimetta, provincia di Treviso. La vita, alcune volte, ti parla: una via dedicata a un missionario che ha investito parte della sua vita per il bene dell'Africa, accoglie un ragazzo africano che scappa dalle atrocità della guerra. Dzibi si è integrato bene in Veneto. Ora vive da solo e ha un lavoro. I genitori di Dzibi sono stati uccisi nel periodo in cui sul territorio imperversava una guerra civile. Viste le condizioni socio politiche, ha lasciato il suo paese e ha intrapreso il viaggio della speranza vero l'Europa. Lui ammette di essere stato fortunato perché, oltre ad essere sopravvissuto, è stato anche accolto e avvolto dall'affetto di una nuova famiglia. Ma questo non è bastato per fargli trovare la pace. Sapeva perfettamente che, per trovare la vera pace, doveva ritornare nella sua terra e riprendere in mano la sua storia. Ritornato in Guinea-Bissau è riuscito a risalire agli assassini dei suoi genitori. Ha voluto guardarli negli occhi, immagino, così profondamente tanto da sentirsi dire: "Tu sei venuto qui per ucciderci, vero?" e Dzibi, con il suo sorriso e la sua semplicità ha risposto: "No, sono qui per capire". Solo così Dzibi ha trovato pace e ora può donare la sua storia e la sua testimonianza come esempio di perdono e riconciliazione.

Hashim il due gennaio di quest'anno suona il campanello del Sermig (Torino). Ha con sé una valigia nera e non parla italiano. All'accoglienza c'è il delirio: gruppi che arrivano, persone che passano a ritirare gli indumenti mensili che l'Arsenale mette loro a disposizione. Io mi trovo lì per caso: sto aspettando dei miei amici. Mi attirano subito i suoi occhi scuri: non ha bisogno di parlare per capire le atroci sofferenze che ha passato. Con il mio inglese stentato mi avvicino a lui e cerco di capire la sua storia. E' in Italia da più o meno 20 giorni e per tutto questo tempo ha dormito a Porta Susa. La Questura, però, gli ha detto che non poteva più stare lì e gli hanno consigliato di rivolgersi al Sermig. Non mangiava da due giorni e sperava in una sistemazione un po' meno precaria. Purtroppo il dormitorio maschile era pieno e le iscrizioni potevano essere fatte solo l'indomani alle 10. Mi ha fatto capire che l'emergenza più grande per lui in quel momento era mangiare. Con la collaborazione del Sermig l'ho accompagnato alla mensa del Cottolengo spiegandogli dove l'indomani avrebbe dovuto fare la coda per la prenotazione del dormitorio. Spero tanto che Hashim sia riuscito ad accedere al dormitorio e ora sia riscaldato non solo da una coperta e da un pasto caldo, ma da un'umanità che accoglie. Il suo grazie, quando ci siamo salutati, è stato un raggio di sole che ha colpito il mio cuore e la mia anima.

In questo periodo si sente spesso dire che siamo circondati da parole che alimentano e parlano alla nostra pancia. Spero vivamente che ci siano sempre più parole che alimentino, colpiscano e parlino al nostro cuore e alla nostra anima. Solo così possiamo sentirci umani, oltre che burocrati, legislatori, politici, volontari, madri, padri, figli, lavoratori, studenti e qualsiasi categoria sociale vi venga in mente. Sicuramente facendo vibrare determinate emozioni, che passano dall'anima e dal cuore, decisioni delicate e importanti che riguardano tutti verranno prese con una consapevolezza maggiore per il bene di tutti. Perché il bene non può che generare bene.

Bisogna raccontare le storie, quelle che viviamo ogni giorno o che veniamo in qualche modo in contatto. Ideali e valori (e in questo la storia, quella con la S maiuscola, è un'ottima insegnante) devono essere incarnati in una vita e le parole devono veicolare il racconto di questa vita. Altrimenti le parole, le leggi, i numeri delle statistiche, anche le immagini e i video risultano sempre più contenitori vuoti o riempiti da emozioni che provengono, appunto, dalla pancia.

lunedì 7 gennaio 2019

Argentina 2018 - Parque Nacional Los Cardones, Puente del Diablo, Ruta 40

Quando ci s'immerge nel panorama andino è come fare un percorso anche all'interno di se stessi. I paesaggi cambiano in base all'altitudine, all'ora in cui si passa in un determinato luogo e alla luce che colora le rocce. Per chi possiede il dono della fede, ti avvicina un po' di più a Lui e alla bellezza del creato. I cinque giorni passati tra le varie quebrada del nord-ovest dell'Argentina sono stati ricchi di meraviglia e stupore e di un continuo "wow" che sgorgava dal cuore.
Ciliegina sulla torta, che ha reso il tutto ancora più interessante, è aver fatto il giro con Jorge, un ragazzo autoctono (la sua famiglia è totalmente argentina) della zona con un delizioso ristorante chiamato El Quincho a Purmamarca.
Ma andiamo con ordine.
Primo giorno: partendo dal delizioso albergo Antiguo Convento, situato nel centro di Salta vicino alla Iglesia San Francisco, ci siamo immersi nella Quebrada de Escoipe, il primo assaggio di colori e valli che aprono alla Cuesta del Obispo. Da qui s'incominciano a vedere i primi cactus, anche se la vera bellezza arriva scendendo e addentrandosi nel Parque Nacional Los Cardones. Cactus piccoli e grandi in una valle tagliata in due da una strada lunga e dritta che si perde all'orizzonte. Certamente la meraviglia è stata ancora più esaltante grazie al cielo terso che ha permesso un contrasto di colori tra l'azzurro. il verde e il rossiccio; difficili da descrivere a parole. Andando verso Cachi non si può fare a meno di fermarsi al Graneros Incaicos per poi proseguire verso il Puente del Diablo sulla Ruta 40 (Ruta 40 meriterebbe un discorso a parte). Un posto ideale per sostare e mettere i piedi a mollo in mezzo al silenzio, lasciandosi solo cullare dallo scorrere dell'acqua tra stalattiti.



Un episodio da ricordare di quella giornata: abbiamo bucato. Un altro imprevisto accolto che ci ha permesso di capire e apprezzare la bellezza delle persone locali. Come ci ha sempre detto Jorge, la parte più importante del viaggio sta nel modo in cui si assorbe la cultura. Scenario: zona non battuta dalle consuete rotte turistiche. Quindi intorno a noi solo natura. Rimaniamo lì avvolti dal silenzio e dal vento per almeno un'ora sino a quando riemerge dal Puente del Diablo Zaccaria, una guida che si occupa delle immersioni nelle grotte del territorio. Da come interloquivano sembrava che Zaccaria e Jorge si conoscessero; in realtà era la prima volta che s'incontravano. Zaccaria ha investito per noi almeno due ore della sua giornata. Smontata la ruota e caricata nel bagagliaio della macchina di Zaccaria, ci siamo recati al paese più vicino (a circa 10 km). Hanno cercato una persona che potesse riparare la ruota e poi Zaccaria ci ha riaccompagnati sul posto dove avevamo lasciato la macchina ed è rimasto lì, accertandosi che tutto fosse a posto e potessimo ripartire in direzione di Cachi; cittadina deliziosa. Arrivati al tramonto, primeggiava il bianco degli edifici che esaltava la bellezza della topologia di tutte le città andine: piazza rettangolare con giardino e chiesa annessa. Cena, doccia e riposo e poi nuovamente pronti per un altro giorno.